MEF, MIUR, SIDI, PTOF, CLIL, ECDL

01 Feb

2017

MEF, MIUR, SIDI, PTOF, CLIL, ECDL

L’inarrestabile valanga di sigle travolge il mondo della scuola. In un proliferare incontrollato di acronimi navigano a vista i docenti meno pagati d’Europa e le famiglie che in questi giorni arrancano sui server sovraccarichi del ministero per iscrivere i propri figli a scuola. Si parla addirittura di interrogazioni parlamentari, mentre il Miur (leggi Ministero dell’Istruzione) si difende e spiega che la responsabilità del disservizio è del MEF (Ministero delle Finanze): parliamo del mancato pagamento degli stipendi a diverse decine di migliaia di supplenti. Pare che ci siano problemi sul SIDI (e te pareva!), il portale usato dalle scuole per pagare i docenti. Ma le scuole sono impotenti: il loro “borsellino elettronico” è vuoto. E così gli stipendi da ottobre scorso non si pagano, semplicemente perchè il capitolo di spesa del Miur per il 2016 è esaurito, punto e a capo. Si aspetta che arrivino i soldi dell’anno nuovo, alla faccia delle regole sulla contabilità pubblica che prevedono che se l’impegno è stato assunto nel 2016 il pagamento debba essere fatto con soldi del 2016 e non con quelli del 2017.

Nella scuola dove insegno ci sono supplenti che provengono dalla Sicilia che lavorano con grande competenza e passione da settembre: non hanno ancora ricevuto un euro di stipendio! Mi chiedo di cosa vivano, se non ci fossero i genitori con le loro pensioni risicate. Non è un proclama sindacale questo, ma la quotidiana e dura realtà di tanti, troppi immigrati della scuola. Di slogan la politica ne ha coniati fin troppi negli ultimi anni, eppure basterebbe lasciar fare gli insegnanti agli insegnanti, senza chiedere loro di diventare meri esecutori di astruse procedure imposte da chi in una classe non ha mai messo piede. Poca cosa rimane, al netto della burocrazia, del tempo appassionante dell’educare; passione che spinge i più volenterosi dei docenti ad indossare gli abiti del missionario questuante piuttosto che quelli del magister. Siamo insegnanti, – recitava uno slogan, questa volta sì, sindacale, – insegnanti appunto e vogliamo essere retribuiti, non premiati. Basterebbe questo per impedire agli acronimi di cui si diceva di divenire l’alibi che rende difficile ciò che è semplice, attraverso l’inutile per approdare al nulla.

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