Editoriale

03 Ott

2016

Sparare al volto buono dell’occidente

Venti anni fa ho avuto il privilegio di conoscere padre Piero Parolari, medico e missionario del PIME in Bangladesh. L’ho incontrato in quel Paese poverissimo. Curava – ed è quello che fa ancora oggi – i malati di tubercolosi. Praticando cure che richiedono mesi e anni di paziente applicazione, insegnava alla gente a non sospettare della malattia come fosse una maledizione divina da accettare con fatalismo. Tornando ogni giorno a visitare i malati, mostrava che l’essenza del cristianesimo è la prossimità fedele di chi può offrire aiuto al fratello, qualunque sia il colore della sua pelle e il suo sentire religioso.

Non ha mai chiesto a nessuno di convertirsi al cristianesimo in cambio delle sue cure. Mi diceva, sorridendo: – Posso stare qui altri vent’anni a fare le stesse cose, con la stessa disponibilità – (e così è stato), – ma cambiare la mentalità di un popolo lento a comprendere l’universalità dell’accoglienza e la superiore dignità del povero è un compito che richiede intere generazioni.

Mercoledì 18 novembre, un commando di tre integralisti islamici ha sparato a padre Parolari almeno un colpo di pistola e lo ha ferito gravemente con un coltello, alla gola. La prossimità ostinata a un popolo ferito comprende anche la possibilità di essere colpiti dalle forze che lo vogliono accecare. Padre Parolari è vivo per miracolo. Guarirà. E guariranno anche i malati cui si è dedicato con cristiana determinazione.

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