Editoriale

03 Ott

2016

Non sacrificare una capra, metti in gioco te stesso!

«Misericordia io voglio e non sacrifici».

È parola di Dio dal libro di Osea, che cambia completamente la storia della relazione tra noi e il divino; che ci libera dalla schiavitù del sacrificare qualcosa a favore di un atteggiamento interiore e “utile”; che toglie la distanza tra il “fare qualcosa per Dio” (bruciargli un vitello? sgozzargli un agnello?…) e il “fare qualcosa per gli altri” (fare un elemosina, visitare un malato, ascoltare un depresso…).

Se ci fermiamo qui, però, c’è un problema: nella nostra mente, la frase del profeta rischia di produrre un frutto ambiguo, l’idea (falsa, ingannatrice e portatrice di pericolose lusinghe), per cui la misericordia e il sacrificio sono due cose antitetiche; insomma, che si possa essere misericordiosi senza sacrifici.

Il senso è invero l’opposto; Isaia lo precisa: «questo è il sacrificio che voglio: dar da mangiare…». Ciò da cui siamo liberati è, dunque, solo la nostra cattiva coscienza, l’idea che in questo nostro mondo si possa fare qualcosa per Dio che non sia fatto a vantaggio di un altro uomo.

Un augurio per il Giubileo che è appena iniziato, il Giubileo della misericordia?

Di essere liberati dalle illusioni devote, che ci tengono lontani dall’unico comando religioso sensato: «non sacrificare una capra, ma metti in gioco te stesso».

È la misericordia, semplicemente.

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